Bussò il vento

… e altre poesie di Fernanda Ferraresso


 

Bussò il vento

 

Bussò il vento
era uno sciame di neve
bussò alla porta e nessuno lo fece entrare
nessuno gli diede una sedia o un sacco
dove poter sostare
dove potersi fermare scaldare
corse veloce con i piedi trafitti
da così tanto correre e scorrere
su monti acuminati e foreste aguzze
poi scese improvviso alla gola della valle
s’intrufolò nel campo
bianco per una sua vecchia coltre
si mise basso strisciando lento
non aveva più un corpo
sopra quell’erba dimentica di vita e di sole
ma un’onda si vide
come un soffio d’aria
e una polvere bianca argentea
sembrò volasse alta
un alito leggero e sembrò
che avesse persino una voce
di musica un’armonia perfetta e gelando
di colpo una nota dopo l’altra
tintinnarono i cristalli del suo corpo
l’ultimo ghiaccio che teneva nella bocca
in quell’aperto fiato si trasformò in stella.

Bussò il vento- tratto da “voci oltre e altre cose storte”- Terra d’ulivi Edizioni 2015

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Come uno sciame

 

come in uno sciame solo il ronzio non le ali
tutte le parole degli uomini vorticavano in aria
come un virus andavano ora qui ora là senza precisa traiettoria
alcune rimanevano recluse in celle di monasteri
altre ancora si ghiacciavano in quelle di grandi frigoriferi
dove i macellai spesso le spaccavano con le ossa delle bestie
e loro ferme inermi gocciolavano un sangue invisibile
che resisteva per giorni a volte addirittura per mesi o anni
e nei secoli migrava dalle bocche di chi le aveva inghiottite
e nell’impero dei ventrigli tra le chiuse oscurità delle arterie
nelle viscere di un’origine ancora più profonda e segreta
rifiorivano segni che a poco a poco rifluivano
dalla trachea ma anche essudavano come goccioline dalla pelle
dove il vento le raccoglieva e dovunque le spargeva
fino ai confini della terra nelle profondità degli oceani
in pasto ai pesci e vigili tra le valve delle conchiglie
in piccoli essere delle barriere coralline erano fiati in migliaia di microorgani
non solo organismi e al ritmo delle maree a volte sulla spiaggia
rilasciavano segni del loro esistere

(inedito)

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Appena si levò la luce

 

Appena si levò la luce
prendemmo la via seguendo il pendio
della montagna la schiena
rivolti a nord
seguimmo la voce del fiume
che scivolava adagio al nostro fianco
ci contava e tra le rocce e i sassi
raccontava la nostra paura di perderci
di confonderci con la notte
in silenzio e uno avanti all’altro
percorrevamo la via già seguita
in secoli di guerra e follia omicida
per scappare alla morte di una carestia di umanità
e aggrapparci alla terra alla vita
la nostra dissanguata e impoverita
dove adulti e bambini
uomini donne vecchi senza differenza
pativano più di quanto ogni storia ascoltata
ancora raccontasse
più di quanto si potesse sopportare
venne con noi il vento
tutto il tempo restò disteso sulle nostre teste e
da dietro sulla schiena ci sospinse
tremando con noi per il freddo di un buio
che ormai ci abitava da troppo
troppo tempo
fino a valle ci tenne compagnia
poi spirò
morì come prendendo per sé
l’anima di alcuni di noi
prima che superassimo il confine
prima che ancora una volta ci perdessimo
preda di altri uomini

(inedito)

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